lunedì 30 marzo 2009

Alle foci del Timavo

La Croce del Sangue
Come uscire dalla storia ed entrare nella leggenda.
La 1° GM, la grande guerra, fu grande in tutto, grande per il numero delle nazioni partecipanti, grande per le sofferenze patite da milioni di soldati, nelle alterne vicende di sconfitte e vittorie, e tragicamente grande per il doloroso computo dei caduti. Voglio raccontare un episodio di una battaglia, una cruenta battaglia, che si combatté alla fine del maggio 1917, sul Carso, alle foci del Timavo, nei pressi di Duino (TS). A questo scontro prese parte anche Gabriele d’Annunzio che fu partecipe di un episodio altamente drammatico.
Le foci del Timavo, come molte altre località italiane, sono un luogo la cui storia si perde nel passato e numerose sono le citazioni di poeti e storici dell’antichità. In questo luogo c’è qualcosa di diverso, che va oltre la realtà, come in una visione schopenhaueriana della natura qui si percepisce che le immagini, che i nostri occhi inviano al cervello, sono incomplete, sono solo una rappresentazione parziale. Sotto le tranquille acque, che sgorgano dalle rocce, si avverte un enigma che per molti anni è rimasto tale. Un fiume, uno strano fiume, Il fiume Timavo.
Sotto l’apparente innocenza delle foci si nasconde, nelle profondità carsiche, una storia tumultuosa, per più di 40 chilometri il corso ipogeo del fiume attraversa antri, caverne e abissi profondi.
“Il fiume nasce sul lato sud del monte Nevoso a circa 42 km a sud-est di Trieste e nella prima parte prende il nome di Timavo superiore. Dopo un percorso di circa 37 km., poco prima di Trieste, sprofonda nelle spettacolari grotte di S. Canziano, a 250 metri di profondità, nell’Abisso di Trebiciano, dove scorre a 329 metri sotto il livello del mare, e nel Pozzo dei Colombi, poco a monte della
Chiesa di San Giovanni di Duino. Qui il Timavo, con una voce potente e roboante, fa sentire tutta la sua forza. Gli abissi presentano una panoramica spettacolare sul fiume sotterraneo e sul fascinoso mondo ipogeo del Carso. Una visita alle quattro “finestre” sul Timavo sotterraneo può offrire un punto di vista esclusivo, unico e avvincente sulle peculiarità del territorio carsico.


vedute parziali delle foci del Timavo



Dopo quaranta chilometri nascosto nelle viscere della terra il Timavo riappare, con tre sorgenti, in tutta la sua tranquilla bellezza, a San Giovanni, nel Comune di Duino-Aurisina, a circa due chilometri dal punto in cui si tuffa nel mare. Alle sue spalle 87 chilometri di viaggio, di cui poco più della metà in superficie.”( rif.geografici http://www.marecarso.it/da_vedere_timavo.htm)
Si parla dunque di foci del Timavo, ma essendo anche il punto in cui sgorgano le acque, si può dire indifferentemente anche sorgenti, fonti o bocche, come le chiamavano gli antichi inconsci del lungo percorso nel sottosuolo carsico.
Questo fiume che scompare sotto terra per riapparire dopo un lungo tratto sotterraneo dette adito a moltissime storie e solo nel 1610, il naturalista e fondatore della geografia storica, Filippo Cluverio (nome italianizzato di Philipp Clüver o Klüver) ipotizzò che fosse un solo fiume, che dopo essersi inabissato riemergeva dividendosi poi in tre bocche per sfociare infine nel mare Adriatico.
La conformazione idrogeografica del luogo è cambiata nei secoli, infatti il numero delle “bocche” viene indicato in sette dallo storico e geografo romano
Strabone (nato ad Amasia, attualmente Turchia , ca. 64 a.C.-ca. 24 d.C):
“In fondo al golfo adriatico sorge il Santuario di Diomede. Il Timavo vi ha un porto, un bosco sacro bellissimo e sette bocche, con sette corsi, che confluiscono in un solo fiume largo e profondo, che dopo breve tratto sfocia nel mare”

Virgilio scrive di nove bocche
“Antenor potuit mediis elapsus Achivis
Illyricos penetrare sinus atque intuma tutus
Regna Liburnorum et fontem superare Timavi,
Unde per ora novem vasto cum murmure montis
it mare proruptum et pelago premit arva sonanti.”

(Antenore, scampato agli Achei, poté entrare nel golfo illirico, spingersi in modo sicuro nel regno dei Liburni e superare (le sorgenti del) Timavo che simile a un mare impetuoso erompe dalla montagna per nove bocche con alto frastuono e inonda i campi di un acqua risonante.)
Eneide, I, vv.242-246

San Paolino (vescovo d’Aquileia, in età longobarda) nel 799 d.c. scrive anche lui di nove fonti.
“Timavo, piangi con me in nove rivoli,
scaturendo da nove fonti,
piangi sinchè t’inghiotte il mare Adriatico.”

Andrea Rapicio vescovo (Trieste1533-1573) scrive di sette gorghi.
Ecco gli stagni del Timavo; donde
bello a vedersi fresche e cristalline
da sette gorghi fuor sboccano l’acque
(dal poema Histria)

Tito Livio e Plinio ci hanno lasciato una testimonianza della località senza però dirci quante fossero queste bocche

Tito Livio ( Le storie, XLI, 1, 2)
“…profectus ab Aquileia consul castra ad Lacum Timavi posuit, imminet mari is lacus. Eodem decem navibus C.Furius duumvir navalis venit.” ( Le storie, XLI, 1, 2)
(…partito da Aquileia, il console pose l’accampamento al Lacus Timavi: questo lago si protende sul mare. Lì giunse con dieci navi il duumviro navale C.Furio.)

Plinio nella sua Storia Naturale parla diffusamente della zona, dell’ amnis Timavus, del castellum nobile vino Pucinum, del Tergestinus sinus, della colonia Tergeste. Ricorda le Insulae clarae come sede di terme frequentate perché ritenute molto salutari.
Nota che Livia , moglie di Augusto, attribuiva i suoi 86 anni d’età al vino Pucino, prodotto in piccole quantità
“ nel golfo dell’ Adriatico non lontano dalle sorgenti del Timavo, su un colle sassoso, dove le viti si aprivano al caldo influsso marittimo
(…gignitur in sinu Hadriatici maris non procul Timavo fonte saxoso colle, maritimo adflatu paucas coquente amphoras.” - Naturalis Historia 14, 60)

Questo il contesto storico geografico della località in cui avvenne la battaglia delle foci del Timavo, che vide impegnate le truppe dell’impero austro-ungarico e quelle italiane, tra il 23 e il 30 maggio 1917.
Il giorno 28 di quel mese accadde l’episodio drammatico in cui rimasero coinvolti l’allora capitano Gabriele d’Annunzio e il maggiore Giovanni Randaccio, comandante di un battaglione dei “Lupi di Toscana”, che, colpito a morte, spirò tra le braccia del Poeta, il quale ne raccolse i cimeli e, come spiega lui stesso in una lettera, fece collocare il sangue raccolto sulle mostrine in una croce: la Croce del Sangue.
(continua)