sabato 9 maggio 2009

Da e di Marco De Turris

domenica 14 settembre 2008
Poche considerazioni sul fascismo
Che cos’è il peronismo? Nessuno, né storici né pensatori politici, anzi nemmeno i peronisti stessi, è mai riuscito a fornire una definizione di questo movimento politico argentino. In esso hanno convissuto e convivono comunisti e fascisti, simpatizzanti di Castro ed ammiratori di Hitler, massoni anticlericali e cattolici integralisti. E’ una corrente nata nelle forze armate ed il cui massimo rappresentante era un militare, ma che ha trovato proprio nell’esercito i suoi maggiori oppositori. E’ un’ideologia normalmente catalogata quale “di destra”, ma che ha avuto ed ha tuttora l’appoggio dei maggiori sindacati argentini.
Il peronismo, sin dalla figura del suo fondatore Peròn, è però, da tutti, giustamente considerato un movimento analogo al fascismo italiano ed anzi largamente ispirato proprio a quest’ultimo.
In modo analogo, nessuno è mai riuscito a dare una definizione del fascismo italiano, fenomeno storico il quale è paragonabile ad una galassia, in cui, all’interno d’un comune “campo di forza”, hanno gravitato costellazioni di pensatori, uomini politici, gruppi sociali diversissimi se non contrastanti.
L’argomento sarebbe molto lungo da affrontare, per cui mi riservo di fornire alcune indicazioni di volta in volta. Ora intendo ricordare uno degli aspetti più singolari della diversificazione interna al “fascismo”, ovvero quella regionale.
Benito Mussolini ed i suoi primi sodali erano notoriamente romagnoli, però il fascismo come movimento organizzato nacque a Milano, si diffuse nelle campagne della pianura padana, poi conquistò le città del nord, infine giunse al sud. Questa dinamica è conosciuta, mentre invece si sono meno evidenziate le diversità interne.
Il fascismo romagnolo aveva un’anima repubblicana (Balbo in primis), che oscillava fra le eredità del socialismo, o persino dell’anarchia, e quelle del nazionalismo, ben rappresentate da Farinacci. Il fascismo milanese era invece segnato da connotati maggiormente intellettuali e combattentistici, i quali bramavano “modernizzare” l’Italia, coniugando istanze socialiste, tecnocrazia, nazionalismo. Decisamente monarchico e filo-clericale il fascismo piemontese, con numerosi militari fra i suoi aderenti, però singolarmente abbastanza anti-capitalistico.
Un caso a sé invece era il fascismo veneziano, assai importante, ma pochissimo studiato. Volpi di Misurata ed i suoi amici erano massoni e legati all’ambiente dell’alta finanza, e rappresentavano in un movimento teoricamente popolare, con un’anima in fondo anti-borghese ed anti-moderna, idee prettamente liberali (ma elitarie), liberiste e, come accade solitamente in questi casi, fortemente anglofile.
Il fascismo toscano era forse quello più duro e battagliero, tanto che fra i maggiori gerarchi della RSI c’erano moltissimi Toscani, al punto che la repubblica di Salò fu soprannominata ironicamente “granducato di Toscana”. Esso era un fascismo assieme guerriero e rivoluzionario, ostile al socialismo come al liberalismo, e s’ispirava a modelli totalitari più che autoritari. Inoltre, molti fra i maggiori esponenti intellettuali del fascismo erano Toscani.
Il fascismo romano aveva due anime. La prima era quella dell’ “aristocrazia nera” romana, nera non per l’adesione al fascismo, bensì per essere da secoli ultra-cattolica e clericale. Essa non era in verità nazionalista, essendo l’Unità d’Italia raggiunta con la breccia di Porta Pia, e non approvava assolutamente la modernità in nessuno dei suoi aspetti. La sua ideologia era quella dell’ultramontanismo cattolico, quindi aveva nel Papa, e non nel Duce o nel Re il suo punto di riferimento. Aveva poi a Roma il suo epicentro il tradizionalismo di natura “pagana” (Evola ed i suoi collaboratori ed amici), numericamente assai ridotto, però di grande importanza culturale, persino più reazionario di quello cattolico, però certo assai diverso, sebbene punti di contatto e di reciproca simpatia non mancassero fra i due gruppi. Evola anzi era egli stesso un membro della nobiltà romana.Infine, il fascismo meridionale sorto per ultimo fu in verità l’adesione da parte dei vecchi ceti liberali del Sud alla nuova ideologia fascista, non tanto per convinzione, quanto per interesse. Gran parte di questi notabili locali poi cambiarono nuovamente cavallo, divenendo demo-cristiani.
Ribadisco che non si deve parlare di "fascismo", bensì di "fascismi" al plurale, di cui quello di Salò fu soltanto l'ultima, ed assai poco rappresentativa, manifestazione.
Pubblicato da Marco De Turris a 18.00

1 commento:

  1. Ottima analisi!
    Anche De Felice parla di più fascismi.
    Infatti il fascismo è un movimento molto complesso ed eterogeneo.
    Poi ci furono anche differenze tra il fascismo e il terrorismo squadrista, quest'ultimo agì quasi anarchicamente rispetto all'intellighenzia fascista (solo Grandi e Farinacci lo appoggiarono).

    Saluti.
    http://historiadigitale.blogspot.com/

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