venerdì 25 dicembre 2009

Ritorno alla sinagoga


La storia dei settanta contadini pugliesi che negli anni Venti diventarono ebrei e nel 1948 emigrarono in Israele

Sannicandro, oggi San Nicandro, è una cittadina pugliese, un paesotto del Gargano che poco ha di urbano a tutt’oggi, figuriamoci alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando vi iniziò un’avventura straordinaria, quella che portò una settantina dei suoi abitanti a diventare ebrei, ad attendere molti anni di potersi convertire formalmente all’ebraismo e infine a trasferirsi in Israele, subito dopo il 1948. Erano, quelli successivi alla Prima guerra mondiale, anni percorsi da fermenti politici e religiosi di ogni tipo anche nel sud, profondamente modificato dalle migrazioni di tanti suoi figli in America. Diffusi ed attivi nel proselitismo erano i protestanti, in particolare i movimenti pentecostali. Il protagonista di questa vicenda, unica nella lunga storia dei rapporti tra mondo cristiano e mondo ebraico, è un bracciante analfabeta, Donato Manduzio, tornato invalido dalle trincee della Grande guerra. In ospedale ha imparato a leggere e a scrivere e, costretto alla quasi immobilità, passa il tempo immerso nelle letture. Letture disparate, spesso casuali. Quando un vicino gli regala una Bibbia avuta da un predicatore pentecostale – una Bibbia in italiano, nella traduzione di Lutero – Manduzio vi si immerge totalmente, scoprendo che nel testo biblico non si faceva parola né della Trinità né del Papa né di Gesù e che vi si narrava invece di un popolo perduto in paesi lontani a cui Dio apparve sulla montagna consegnando la “vera fede”. Intorno a lui cominciano a radunarsi amici, parenti, vicini. Il gruppo discute le parole lette da Manduzio, con ingenuità e curiosità, senza preconcetti.

E’ la prima volta che hanno l’occasione di affrontare direttamente la parola di Dio. A poco a poco, da semplice lettore, Manduzio diviene un interprete, pervaso di messianesimo e di tensioni mistiche, mentre i suoi seguaci imparano a leggere e a scrivere.
Di fronte a questa grave violazione religiosa – la lettura del testo sacro in italiano – intervenne il prete del luogo. Non solo però non riuscì a spuntarla, ma perse anche il suo sacrestano, che si unì al gruppo di Manduzio. Si fecero vivi anche i luterani, convinti di far proseliti e di strappare fedeli ai papisti. Ma, se la lettura della Bibbia aveva convinto Manduzio e i suoi seguaci che il cattolicesimo non aveva granché a che vedere con quanto ritrovavano nel testo, non li aveva però spinti nella direzione di una conversione al protestantesimo. Erano giunti alla conclusione che la vera fede fosse quella ebraica, come era esposta nel testo biblico, e si proclamavano ebrei. Erano convinti, d’altronde, che gli ebrei non esistessero più, che fossero stati soppiantati dai cristiani. Insomma pensavano fermamente di essere gli unici ebrei sulla faccia della terra. Cominciarono a osservare il sabato, a tenersi lontani dai riti cattolici, ad adottare quelli ebraici che imparavano faticosamente a conoscere studiando il Levitico.

Erano ovviamente molto distanti dalla ritualità ebraica vera e propria, non conoscevano il Talmud, e il loro unico punto di riferimento era il testo biblico. Ma quando vennero casualmente a sapere che di ebrei sulla faccia della terra, e perfino in Italia, ce ne erano ancora molti, e che se volevano essere davvero ebrei dovevano mettersi in contatto con loro, decisero di scrivere a Roma e di informare il rabbino capo dell’esistenza della loro comunità, chiedendo di essere convertiti. Per due volte le loro lettere restarono senza risposta, poi, infine, ricevettero risposta. David Prato, il rabbino capo della Comunità di Roma, li esortava ad attendere tre anni meditando sul passo che volevano compiere, prima di affrontare il problema della conversione. Nel frattempo, Roma inviava loro testi biblici, scialli e libri di preghiera. Era il 1934.

Lentamente, il paese si abituava alla presenza di quel gruppo di “ebrei” che mangiavano secondo le regole ebraiche, celebravano le feste ebraiche, leggevano la Bibbia, pregavano e creavano canti religiosi. Le tensioni semmai furono interne, tanto è vero che si formarono due comunità in conflitto, quella rimasta intorno a Manduzio ed una fondata dal ciabattino Mattoni. Ma i tempi stavano diventando sempre più grami. I protestanti erano sottoposti a molte restrizioni, e nel 1937 anche i seguaci di Manduzio furono ammoniti e multati pesantemente dalla polizia. Non si trattava di antisemitismo, ma del sospetto che le loro riunioni nascondessero attività antifasciste. In quell’occasione, intervenne l’Unione delle comunità israelitiche a chiarire la situazione. Il presidente Raffaele Cantoni si recò a Sannicandro a visitare questi strani ebrei, portando loro in dono libri.

Nel 1938, passati i tre anni, Manduzio ricevette infine dal rabbinato una lettera che li esortava, per il loro bene, ad avere ancora pazienza: il momento non era molto favorevole agli ebrei, meglio aspettare che passasse la bufera delle leggi razziali. Sul momento, convertirsi all’ebraismo non era cosa consigliabile. Una decisione che a Sannicandro venne interpretata come un rifiuto, e molto sofferta. Nel 1940, con l’entrata in guerra, il Sud si riempì di campi di internamento per ebrei italiani e soprattutto stranieri, Mai, dopo il 1540, data dell’espulsione definitiva degli ebrei dal meridione d’Italia, queste zone avevano visto tanti ebrei. A soli cinquanta chilometri da Sannicandro, a Manfredonia, fu creato un campo di internamento, dove furono rinchiusi molti ebrei tedeschi, ma a Sannicandro la vita continuava a scorrere senza troppe tensioni. Soltanto poco prima dell’8 settembre, i tedeschi, che si avviavano ormai ad abbandonare la zona incalzati dall’avanzata alleata, si fermarono in paese a chiedere dove fossero gli “ebrei”, ma il paese intero li protesse.

Venne la liberazione, con gli angloamericani che circolavano ovunque distribuendo cioccolata e sigarette. Fu in questa circostanza che gli ebrei di Sannicandro scoprirono, increduli ed estasiati, la stella di Davide sulle camionette. Era la famosa brigata ebraica, formata da ebrei della Palestina arruolati nell’esercito inglese. Sarà un ufficiale di quella Brigata, Phinn Lapide, a stringere più forti rapporti con loro, a leggere le carte di Manduzio, il suo diario, la documentazione che raccontava quei tredici anni, dal 1930 in poi, in cui si era formata la piccola comunità. Nel 1953 scriverà sulla loro vicenda un libro, “The prophet of San Nicandro”, tradotto in italiano nel 1958 con il titolo “Mosè in Puglia” (Longanesi). Fra quanti, incuriositi dalla sua storia, andarono a far visita a Manduzio, ci fu anche, nel marzo 1944, un ufficiale dell’esercito inglese. Era un ebreo italiano che veniva dalla Palestina ed era impegnato in una missione volta a soccorrere gli ebrei ancora sotto l’occupazione nazista. Si chiamava Enzo Sereni, e viene oggi considerato uno dei padri fondatori dello stato d’Israele.

Nel maggio dello stesso anno, compirà la sua ultima missione, paracadutandosi in Toscana, dove sarà arrestato dai nazisti, per morire poi a Dachau. Finita la guerra, gli ebrei di Sannicandro otterranno infine di convertirsi, non senza ulteriori difficoltà. La conversione, una conversione di massa senza precedenti di settanta persone fra uomini, donne e bambini, avvenne nell’agosto 1946. Donato Manduzio, fortemente contrario a lasciare la sua terra per il nuovo stato degli ebrei, si spegnerà nel marzo del 1948. Tra il 1948 e il 1950, i suoi seguaci faranno tutti l’aliyah in Israele, stabilendosi vicino a Tzfat, e a Sannicandro rimangono solo cinque ebrei. Attualmente, sono una cinquantina e mantengono in vita una piccola comunità.
Ma qual era il contesto culturale in cui la conversione di Sannicandro è nata? Quali le memorie della presenza ebraica nel sud d’talia, dopo secoli dall’espulsione? Nell’Alto Medioevo, gli ebrei italiani erano stanziati soprattutto al sud, sulle coste.

La Puglia era particolarmente importante: qui in quei secoli, nelle fitte comunità ebraiche che la popolavano, era stato introdotto il Talmud babilonese e si era, sembra, costituita la stessa forma comunitaria. Questo mondo era finito già all’inizio del secondo millennio, e gli ebrei rimasti nel meridione erano stati convertiti a forza o esiliati sotto la dominazione angioina. Nel Trecento le sinagoghe pugliesi erano state trasformate in chiese. Ma non era questa, la memoria dietro quella conversione. Più recente era il ricordo delle conversioni e dell’esilio che accompagnarono l’inizio della dominazione spagnola, e soprattutto del fenomeno del marranesimo: il criptogiudaismo di convertiti a forza, o di discendenti di convertiti, che continuano a mantenere nascostamente credenze, riti ed usanze degli ebrei, duramente perseguitati dall’Inquisizione, mandati sul rogo ove scoperti. Il sud d’Italia è pieno di reminescenze famigliari (nomi, usanze, particolarità) a cui far risalire una lontana origine ebraica perduta nelle generazioni.

Manduzio non guarda a questa memoria. Legge la Bibbia, non sa di Talmud, Mishnah, cultura rabbinica. Il suo ebraismo, quello dei suoi seguaci, viene direttamente dal testo biblico. Ma su qualcosa doveva pur innestarsi. Pensiamo innanzitutto, alla vasta diffusione del protestantesimo, con cui lo stesso Manduzio, prima di accostarsi all’ebraismo, era venuto in contatto, alla pratica di una lettura diretta del testo biblico di matrice protestante, anche se diverse sono le conclusioni che Manduzio ne trasse. Inoltre, ricordiamo che ci sono stati nel sud d’Italia, prima di questo, casi di cattolici, non discendenti da ebrei convertiti, che si scoprivano ebrei leggendo i testi. “Vecchi cristiani”, per dirla usando il linguaggio del tempo, che volevano diventare ebrei non per trovare radici più o meno lontane, ma per convinzione. Qualche anno fa uno storico, Giovanni Romeo, ne ha tratti alcuni dall’oblio.

Finivano assai male, naturalmente: sul rogo, in prigione, suicidi, considerati pazzi. Figure affascinanti, di persone qualunque o di mistici e intellettuali, come Giulio Cesare Gambardella, un giovane napoletano tormentato da una deformità fisica e considerato “scemo di cervello”, torturato e condannato al carcere perpetuo nel 1579, come Giovanni Leonardo Gatto, anch’egli napoletano, dottore in legge, dichiarato insano di mente, e soprattutto come il pugliese Ottavio d’Arimini, filosofo e teologo, che sarà giustiziato a Roma dopo un processo in cui si era dimostrato “del tutto miscredente dela fede christiana” e credente invece in “un solo Iddio in cielo a costume di hebrei”. Un altro caso interessante è quello di Scipione Vallati, anch’egli di origine pugliese, un giovane colto che a Napoli nel 1605 decide di rifiutare il cattolicesimo e di farsi ebreo, arrivando a tentare di circoncidersi. Denunciato in ospedale dal suo confessore, morirà prima che il processo inquisitoriale sia compiuto. Nelle sue dichiarazioni, oltre all’esaltazione del monoteismo, un acceso spirito messianico. Questi casi, per quanto sporadici, rivelano come l’ebraismo possa aver giocato un ruolo importante come punto di riferimento di un dissenso religioso diffuso soprattutto al sud nei primi decenni della dominazione spagnola. Gli stessi della fuga di Giordano Bruno e della congiura di Tommaso Campanella, in un momento di riflusso delle spinte riformatrici di matrice protestante.

C’è infine un’altra matrice che merita di essere analizzata nella ricerca dell’origine della conversione di Sannicandro: la cultura contadina. Una volontà forte di apprendere, un desiderio di mettere la cultura alta al vaglio della propria critica, testardaggine e se vogliamo anche molta confusione, e l’idea che apprendere ti metta in grado di decidere. C’è un senso forte delle proprie autonome capacità di comprendere in un analfabeta che impara a leggere e si fa maestro e quasi profeta. Come Campanella, anche Manduzio si era macerato gli occhi sull’olio delle lampade e aveva anteposto la cultura a tutto il resto. Un filo rosso unisce i vari aspetti di questo mondo bizzarro della cultura eterodossa del Sud d’Italia, in tutte le forme che assume, nel Dio che nega come in quello che accetta.

di Anna Foa