martedì 29 gennaio 2013

Marco D'Aviano e la battaglia di Vienna

Il suo Barbarossa è nelle sale, e Renzo Martinelli è già da tempo impegnato alla preparazione del suo prossimo film: Marco d'Aviano . Dovrebbe essere un film ancor più spettacolare del Barbarossa; infatti, se in questo ha dovuto ricostruire la Milano del XII secolo, nel Marco d'Aviano dovrà ricostruire la Vienna di fine '600. A rendere colossale il film, poi, ci dovrebbe essere la scena principale, la quale dovrebbe riguardare l'assedio di Vienna, iniziato il 12 luglio 1683 con l'arrivo delle prime avanguardie turche nei sobborghi di Vienna. La consistenza dell'esercito turco, al completo, è stata variamente valutata in 200.000 - 300.000 uomini, ma è più verosimile fossero all'incirca 140.000. Ammettendo per buono questo dato, sarebbero comunque stati il doppio rispetto alla coalizione formata da forze austriache, sveve, bavaresi, sassone, francone assommanti a 70.000 uomini, di cui 30.000, ben addestrati, provenivano dalla sola Polonia, comandati da re Giovanni Sobieski. I preparativi per la battaglia furono intrapresi la sera dell'11 settembre; l'indomani, domenica 12 settembre 1683, ebbe luogo quella che viene ricordata come la battaglia di Vienna ; una battaglia dal cui esito sarebbe dipeso il futuro corso della storia europea. In caso di vittoria ottomana, infatti, l'Europa sarebbe stata islamizzata di forza. E secondo il terribile progetto del gran visir Kara Mustafà, progetto che in Europa si credeva o si pensava di conoscere, questi aveva in mente di "espugnare Vienna e Praga, frantumare le forze di Luigi XIV sul Reno, e marciare su Roma per fare di San Pietro le scuderie del sultano".
Con un impiego di forze di quella proporzione, Vienna - assediata e parzialmente svuotata da suoi abitanti, datisi a precipitosa fuga nell'imminenza del pericolo - secondo quel progetto turco, sarebbe dovuta capitolare in pochi giorni. Invece resistette ad oltranza, dando così modo alla coalizione amica di organizzare gli aiuti. I viennesi sentivano che la posta in gioco era troppo grande: Vienna era considerata l'ultimo baluardo contro l'avanzata irrefrenabile dell'islam, che era culminata nel 1453 con la conquista di Costantinopoli (ora Istanbul) da parte dei turchi ottomani; impresa che aveva posto fine all'Impero Romano d'Oriente, o Impero Bizantino.
Il regista dovrà anche saper rappresentare il terrore patito dal popolo viennese durante i tremendi due mesi dell'assedio: "i bastioni non erano fortificati e muniti, i cannoni scarseggiavano, mentre dall'alto delle mura gli assediati potevano vedere le tende mussulmane che si stendevano a perdita d'occhio nei dintorni". Il terrore dei viennesi veniva anche alimentato dai racconti di quanto avvenuto 112 anni prima, nel 1571, nell'isola di Cipro, presa ai veneziani dall'assalto dei turchi. Era successo un fatto terrificante, di bestialità e crudeltà inaudita, oggi minimizzato e quasi trascurato dalla storia; una storia di cui rimando la lettura attraverso Wikipedia, riguardante l'assedio di Famagosta e l'orribile assassinio del suo Capitano Generale Marcantonio Bragadin , nonchè Governatore di Cipro (il fatto è descritto molto bene nel libro di Catherwood Christopher, "La follia di Churchill, l'invenzione dell'Iraq". Questi, con dovizia di particolari, ha descritto le atrocità compiute dai turchi ottomani che occuparono l'isola, e l'orribile fine cui fu sottoposta la numerosa scorta di Bragadin, andata là con lui in pompa magna, come fossero andati ad una festa, per firmare la resa e consegnare le chiavi della città. Erano completamente disarmati, in segno di pace). Tale fatto dovrebbe essere ricordato nel futuro film di Martinelli su Marco d'Aviano, per far capire agli spettatori la ragione di così grande paura nei confronti dei turchi ottomani. Famagosta, dopo 22 anni di ininterrotto assedio - forse il più lungo della storia - dovette capitolare, per stenti e fame; nè i residenti potettero contare su aiuti di esterni, o della madre patria Venezia, perchè impegnati nei preparativi per quella che sarebbe poi stata la battaglia che tanto ha influito sul successivo corso della storia: la battaglia di Lepanto , avvenuta il 7 ottobre 1571.
A padre Marco d'Aviano andrebbe riconosciuto il merito maggiore per la vittoria delle forze cristiane su quelle islamiche nello scontro decisivo di Vienna; lo si può intuire anche leggendo la sua biografia, unita agli atti per il processo di canonizzazione ( biografia di padre Marco d'Aviano ) . Eppure, nelle enciclopedie, nei libri di storia delle scuole superiori, almeno quelli più retrodatati, Marco d'Aviano non viene nemmeno citato. Completamente trascurato. Ne è riprova il fatto che, chiedendo in giro chi sia Marco d'Aviano, pochi o nessuno saprà rispondere; dovrebbe essere almeno conosciuto in Polonia e in Austria, sua patria adottiva, e soprattutto a Vienna, dove è sepolto, vicino ai reali d'Austria. Una rivalutazione, una riscoperta del beato, da quelle parti, pare sia però avvenuta solo di recente; prima, sembra sia stato dimenticato anche là. Infatti, quando nel 1883 "si celebrò solennemente il secondo centenario della liberazione di Vienna, nei discorsi e nelle commemorazioni di circostanza non ci si ricordò nemmeno di un certo padre Marco d'Aviano, il quale era stato, vedi combinazione! - una delle cause determinanti della grande vittoria che aveva salvato Vienna, l'impero, l'Europa. Dato il tempo e il luogo, non si può certo dire che si trattasse di un silenzio casuale". E sarà forse stato anche per la probabile venerazione di cui dovrebbe godere in Polonia, che papa Wojtyla, il papa polacco, prima di morire, ha voluto beatificarlo, domenica 27 aprile 2003, chiudendo il lungo processo di beatificazione e canonizzazione . Durato 300 anni, era iniziato nel 1703, dopo appena 4 anni dalla morte di padre Marco d'Aviano (beatificazione di padre Marco d'Aviano).

Marco d'Aviano, una vita da santo eroico, tutta spesa per la conservazione dell'indipendenza politica e religiosa dell'Europa dall'invadenza islamica turca ottomana. Santa, la prima parte della vita, anche per i miracoli documentati, che gli sono stati attribuiti; defatigante la seconda, per i numerosi viaggi - molto disagevoli per quell'epoca - compiuti per raggiungere le corti d'Europa, ove era molto richiesta la presenza di un frate già in odore di santità; santa ed eroica la terza ed ultima parte della vita, per la sua onnipresenza sui campi di battaglia, da Vienna, Buda, Belgrado, per sostenere e incoraggiare i soldati, spronandoli a combattere eroicamente per la salvezza del cristianesimo, e, con esso, dell'Europa.

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Dal Diario del 22 ottobre 2009

domenica 27 gennaio 2013

Bianca Maria Visconti

La mattina del 25 ottobre 1441, lungo la strada che conduce alla Chiesa di San Sigismondo, nella periferia di Cremona, l'intera popolazione si era accalcata lungo le strade per festeggiare il passaggio del corteo nuziale. Per questioni di sicurezza lo sposo, Francesco Sforza, aveva scelto quella chiesa di periferia, anziché il più prestigioso Duomo di Cremona. Doveva inanellare Bianca Maria Visconti, sua promessa sposa da ormai 12 anni.

Il divario d'età fra gli sposi, 40 anni lui, 17 lei, aveva messo in serio dubbio, tra i malevoli e gl'invidiosi, la tenuta di quell'unione. Invece, a loro dispetto, fu un'unione duratura e felice, confortata dalla presenza di otto figli.

Bianca Maria era l'unica figlia legittima di Filippo Maria Visconti, la sola, quindi, che avrebbe avuto il diritto di succedere al trono. Senonché, per via d'un testamento lasciato dal bisnonno, ma non più ritrovato, il regno sarebbe dovuto passare di padre in figlio, ma solo per via maschile. Francesco era figlio naturale di Jacopo degli Attendoli, uno dei più celebri capitani di ventura italiani, che si era meritato il soprannome di Sforza dal suo maestro d'armi, per la tenace resistenza. Il Visconti, non riuscendo ad avere figli maschi legittimi, e poiché il trono si sarebbe potuto tramandare solo per linea maschile, aveva pensato bene di adottare Francesco, facendogli poi sposare sua figlia. Gliela promise così in sposa quando lei aveva ancora solo cinque anni, mentre lui era già uomo maturo di ventotto anni. In attesa che la figlia crescendo fosse stata pronta per il matrimonio, pensò bene di relegare lei e la madre, sua moglie, nel castello di Abbiate (la futura Abbiategrasso); questo era considerato più sicuro, rispetto la rocca milanese, e pressoché inespugnabile dai soventi attacchi del popolo, provocati da una sua politica spesso vessatoria. Il Castello di Milano, conosciuto all'epoca come Rocca di Porta Giovia, era stato costruito dal nonno di Filippo Maria, Galeazzo II Visconti, negli anni 1358 - 1368; La ricostruzione operata da Francesco Sforza dopo il 1450, in seguito alla devastazione operata dal popolo nel 1447, subito dopo la morte di Filippo Maria Visconti, lo ha portata ad essere quello che è universalmente conosciuto col roboante nome di CASTELLO SFORZESCO. Per inciso, Galeazzo II è anche colui a cui si devono la costruzione di due opere simbolo di Pavia: il Castello Visconteo e l' Università degli Studi.

Ma poiché il Duca considerava il Castello di Abbiate non molto sicuro, e poco confortevole, decise di farlo rinforzare, facendo anche allestire delle stanze che fossero state degne di accogliere la sua figlioletta, in compagnia della sua consorte. Quando il tutto fu pronto, avvenne il fidanzamento per procura tra Bianca di sette anni e Francesco di trenta, e le due donne partirono per il castello di Abbiate. I fidanzati non si erano visti né conosciuti, e né si vedranno fino al giorno del matrimonio, che avverrà quando lei avrà compiuto 17 anni, l'età minima ritenuta conveniente per un matrimonio regale.

La figlia visse così i dieci anni di trepida attesa, racchiusa tra possenti mura, sognando il suo bel principe azzurro. Venne così il giorno fatidico del pronunciamento. L'umanista Marco Antonio Coccio, soprannominato Sabellico, che, quarant'anni dopo i fatti ebbe a narrare di quel rito nuziale, era perfino informato del discorso che Francesco fece alla fidanzata: "Confesso d'essere entrato in asprissima guerra per mostrare che tutto quello che facevo era per amor vostro; certo io deliberai con animo caldo di morire non potendo acquistarvi. Non cercavo d'offendervi ma di difender me, perchè il duca non mi facesse ingiuria: ora io gli dono la pace e benché mi vediate cinto d'armi pensate d'esser mandata a un quieto et amorevolissimo sposo". Parole di quel discorso e l'accenno alle armi di cui era cinto nel giorno del matrimonio, sono indicative del periodo burrascoso vissuto dallo sposo, e da tutti in generale, durante quel periodo prematrimoniale di dieci anni; un periodo burrascoso dovuto anche al carattere alquanto instabile del duca padre, che sfociava in un andirivieni continuo di promesse e rimangiamenti nel concedergli la figlia in sposa; e le armi di cui era cinto sono il segno evidente che anche quel giorno, pur essendo a casa della sua promessa sposa (Cremona era il suo piccolo regno, che aveva ricevuto in dono dal padre, quando era ancora in tenera età), temendo ritorsioni e agguati da parte di eventuali sicari inviati sul posto dal futuro suocero (la scelta all'ultimo momento di quella chiesa fuori mano, per l'epoca - collocata praticamente nel mezzo di una campagna - anziché il più prestigioso Duomo, situato questo nel mezzo di una serie di viottoli, che avrebbero agevolato la fuga dei possibili sicari, rientrò in quella strategia di autodifesa personale). Comunque sia, più che quelle parole di Francesco furono probabilmente la sua calda voce e il calore dell'intonazione a costituire per Bianca un messaggio inconfondibile: la storia che incominciava tra loro, sarebbe stata una storia d'amore.
Seguì la cerimonia, narrata con enfasi dai cronisti dell'epoca. La sposa, vestita di rosso, colore nuziale e anche colore zodiacale, per i nati sotto il segno dell'Ariete, come lei, era giunta a cavallo di un destriero bianco dalla gualdrappa dorata. Lo sposo, secondo lo storico Giovanni Simonetta, autore della Sforziade, testimonia che Francesco fece il tragitto che lo condusse alla chiesa, preceduto da duemila cavalieri in squadre molto ornate d'oro e d'argento, tutte formate da capitani, condottieri e capisquadra.

Dopo la cerimonia iniziarono i festeggiamenti, culminanti nel sontuoso banchetto nuziale. Invitati d'alto lignaggio, recanti ricchi doni, erano giunti da ogni parte della Penisola. Verso la fine del banchetto, per la prima volta nella storia, in onore della coppia regale era stato portato in tavola un dolce dal gusto squisitamente nuovo, che il popolo all'unisono si era arrovellato nell'ideare. Fu confezionato con la forma della celebre torre campanaria di Cremona, il Torrazzo: nasceva il Torrone.

Fin qui la storia; da qui si dipana il seguito frammistandola con un poco di fantasia personale.

E mi piace immaginare che in quel banchetto furono servite anche altre specialità, divenute poi un classico dell'arte culinaria cremonese: il Salame di Cremona e la Sbrisolona. Quasi sicuramente fu invece portata in tavola la già classica Mostarda di Cremona, conosciuta in quel momento da ormai quasi due secoli. L'avevano infatti messa a punto i monaci del XIII secolo, disseminati nei monasteri, allora numerosi nelle campagne lombarde. Cercando il modo per conservare più a lungo possibile la frutta estiva, ne avevano sapientemente messo a punto la ricetta originale. E così da quegli albori, ciliege, pesche, albicocche, pere, fichi, meloni, ecc., anche se il loro gusto viene coperto, quasi nascosto, dal forte e piccante sapore della senape, si potettero gustare anche per tutto il resto dell'anno.

Di certo, e qui per inciso, va ricordato che Bianca Maria Visconti Sforza è stata benevolmente ricordata molto a lungo nella memoria dei cremonesi.

Al termine del banchetto iniziarono balli, gare, sfide, tornei che si protrassero per giorni e giorni, e rimaste impresse nella memoria popolare. La gente, dopo anni e anni di battaglie, di cui erano state teatri quelle campagne, aveva voglia di dimenticare, divertendosi. I ricordi lasciati da quella festa ebbero un tale potere mnemonico che ancora generazioni dopo un cronista lodigiano ebbe a scrivere: "Fuori Cremona si ballava ... il conte Francesco l'aveva per mano e fu fatta allora quella canzone che dice "Quando per la mano fu presa sotto Cremona" e "Come la bala ben". Un viandante che avesse girovagato per quei paesi e per quelle campagne nei decenni, e forse secoli successivi, le avrebbe sicuramente sentite canticchiare dai lavoranti delle costruzioni e della terra. Per rievocare quei giorni di festa, da qualche anno, nella seconda metà di novembre, a Cremona si svolge la Festa del Torrone.Ed ora, nell'augurarvi un buon Natale, vi sottoporrei gentilmente ad un quiz. Si tratterebbe d'individuare l'autore e il luogo dove è conservato il quadro qui sotto. E' un'immagine natalizia, con Madonna e Gesù Bambino che ricevono la visita di qualcuno. Il quiz è stato sottoposto al gruppo degli universitari del tempo libero, nostri lettori. Si sono rivolti a me, sperando li possa aiutare. Qualcuno mi potrebbe suggerire le risposte? Bibliografia: La Signora di Milano, Daniela Pizzagalli, BUR Rizzoli, Gennaio 2009

Immagini:

Bianca e Francesco Sforza: tratta da Google immagini, proprietario il sito Flickr.com

Chiesa di San Sigismondo, Cremona, dal sito: Cremonaguide.net
N.B. al momento del matrimonio la chiesa era soltanto un cappella. La chiesa di San Sigismondo, così come la conosciamo oggi, fu costruita solo a partire dal 1462, su commissione di Bianca Maria Sforza Visconti.

Castello di Abbiategrasso (Mi): dal sito Mondi Medievali

Duomo e Torrazzo di Cremona: dal sito
Tripadvisor.it

Un bel barattolo di Mostarda Dondi da collezione. Non è pubblicità: regalatomi anni fa, è vuoto, e lo conservo gelosamente. Il fac simile della foto è tratta dal sito
Demar Alimentari.

Cremona, Festa del Torrone, dal sito
Marcopolo Tv

Ultima foto: fa parte del quiz, e non so nulla.


Post dal Diario del 20 dicembre 2010
Aggiornamento del 2 febbraio 2013: qui (http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/interviste/pizzagalli.html) un'intervista a Daniela Pizzagalli, autrice del saggio ispiratore del post, contenente ulteriori notizie  sulla figura di Bianca Maria Visconti